lunedì, ottobre 29, 2007

I love gossip

Dunque Bobo si lamenta: “quel gossip è odioso”.

Il Bobo in questione non è Vieri, che una velina pensa e cento se ne fa, ma Craxi, offeso dal libro del giornalista “porta a porta” Bruno Vespa che – diciamolo - fubo come l’aglio aveva pensato, a ragione, di fare un colpaccio intervistando le amanti di Bettino.






Marella Agnelli si schiera contro sua figlia sull’eredità del marito e non ne parlano nel salotto (che pure immagino accogliente) di casa loro, ma dalle pagine della rivista “Focus”…










Nicoletta Mantovani, fedigrafa per antonomasia da quando ha soffiato Lucianone Pavarotti alla moglie Adua, va a piangere in Tv per difendere se stessa e l’ancora misterioso lascito del corpulento marito.
Nella stessa intervista Faziosa (nel senso che è stata realizzata da Fabio Fazio) apprendiamo costernati della sclerosi multipla che affligge la Mantovani.











Pure se non ce ne fregasse niente dei fatti dei personaggi pubblici sarebbe difficile, ma proprio tanto, non sapere certe cose.

Il punto è che ci interessa ed è inutile dire di no.

Ci interessa perché sennò i giornali non insisterebbero a parlarne e così anche la tivvù e fare come ha fatto “domenica in” la settimana scorsa, quando il morbido Giletti domava una arena tutta concorde a dire: “è uno scandalo che si parli così tanto dei soldi di Pavarotti”, è una furbata proprio grossa: parlare di un argomento asserendo che non sia giusto parlarne è quantomeno schizofrenico, ma tanto politically correct.

La verità è che siamo curiosi come gatti e impicciarci delle magagne nella vita dei ricchi e famosi ci piace: piace agli italiani e piace ancora di più agli inglesi per non parlare di quanto ci sguazzano gli americani.

I personaggi famosi, compresi i politici hanno poco di che lamentarsi perché lo decidono da soli di mettersi sotto una lente di ingrandimento.

Non si tratta del lavoro che fanno, anche se quello è il primo passo verso l’esposizione mediatica, ma lo stile di vita che si scelgono.
Si può essere attrice come è attrice Margherita Buy o Laura Morante che di loro nessuno sa niente e meno se ne sa, meno interessa.
Ma se sei un politico e frequenti delle amanti, pace… tanto vale che ti rassegni all’idea che alla gente interesserà. Se hai sposato un tenore ricchissimo che aveva il triplo dei tuoi anni e l’hai “soffiato” alla sua prima famiglia, è abbastanza inutile recriminare sul fatto che la gente voglia finalmente sapere quale dei 20 testamenti è quello giusto.

E magari ci stupiamo di noi stessi, noi che non pensavamo che il gossip potesse spopolare così, ma adesso sappiamo che la legge dei numeri è la più forte e che se una cosa non funziona, non piace e non vende, nessuno ha interesse a restarci su.

Una fatto però è vero: probabilmente non siamo capaci di dire basta e più ci si offre, più noi prendiamo. Non siamo capaci di dire che ne abbiamo avuto abbastanza e così dopo più di dieci anni ancora ci torturiamo le balle con Lady Diana.
E’ in base a questa logica perversa, quella del Why not (da non confondersi –o forse si- con un why not ben più popolare in questi giorni) che Vespa ci rifila le donnine del Craxi defunto; è per questa logica che i giornalisti portano i notai in tv per spiegarci quanto vale l’appartamento di New York di Pavarotti ed è ancora per questo che Marella Agnelli e la figlia non si incontrano nella loro cucina ma sulle pagine di una rivista…

Diamoci una regolata sul quanto e sul come, ma che se ne parli è sacrosanto.

lunedì, ottobre 01, 2007

Lost and found


Poco fa si parlava di Lost con Emanuela.
Mi conforta sapere che lei si addormenta guardandolo, perché io questo cult serial me lo sono sempre perso volentieri.

Deve essere buono, anzi, veramente buono se se lo vedono in così tanti e soprattutto se ne è scaturito tutto questo gran merchandising che pare esserci intorno.

Ma Lost è diventato molto più di un buon prodotto e molto più di una furbissima macchina da soldi; Lost è uno status symbol.
Seguirlo o non seguirlo fa la differenza come qualche anno fa la differenza era possedere o non possedere un telefono cellulare.

Se non guardi lost non sei nessuno.

Lost lo guarda Floris che se lo scarica da internet (perché ormai nessuno aspetta più che un programma passi in tv, che scherzi? Come si sopravvive a non sapere prima degli altri?) Lost lo guardano i giornalisti e quelli che fanno televisione, prima o poi faranno un corso di lost all’università.
Lost è la serie per un target che si autodefinisce medio-alto, quello appetibile per la pubblicità, quello dei giovani e dei professionisti, quelli che usano la tecnologia e la comprano e quelli, in fine, che fanno tendenza di mercato.

Lost è l’isola deserta più popolosa in cui un utente televisivo possa incappare; Lost è il ritrovo della civiltà produttiva, mare magnum della generazione che crea trend.

Io evidentemente sono fuori target perché ne ho visto una sola puntata e poi ho lasciato.

Sarà che ero una tra quei pochi che facevano l’una e mezza di notte per guardare x-files quando ancora nessuno sapeva bene cosa fosse e quindi di misteri ne ho visti a bizzeffe.
Sarà che mi sento smaliziata di fronte agli escamotages degli autori e che di isole e naufraghi ne ho davvero abbastanza.
Sarà pure che sono diventata una fan del realismo e che se un aereo precipita so benissimo che le possibilità che così tanta gente si salvi sono praticamente nulle…. Sarà, dicevo, ma io voto i Sopranos, che girano intorno a storie ottime, voto Grey’s anatomy che ha saputo creare spunti molto significativi, voto House che ha degli script geniali e voto anche la piccola brutta Betty, che è un format semplice come una addizione, perché non si vive di sole equazioni e radici quadrate.

E poi voto sex and the city, meraviglioso e moderno compendio sessual-amoroso, scritto con autenticità e freschezza e con quell’ironia e quella punta di rosa che regalano al mondo un colorito più sano.